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  • Immagine del redattoreDavide Gaeta

LIFESAVING SPORT: intervista a Cornelia Rigatti

Aggiornamento: 23 gen 2021

Ho già avuto modo di dedicare diversi articoli al lato sportivo del salvataggio in acqua. È un mondo che mi affascina molto. Per questo ho deciso di parlarne con Cornelia Rigatti, una tra le atlete italiane più forti ed impegnate in questo ambiente.

Di professione traduttrice e formatrice nel settore nuoto (e salvamento), riesce costantemente a coniugare i suoi impegni con una grande mole di ore di allenamento, tutte le settimane, cosa che l'ha portata a raggiungere grandissimi risultati nel suo sport.

Per citare alcuni dei titoli conquistati:

  • Medaglia di bronzo ai Mondiali di paddleboard

  • Due volte vincitrice Coppa Europa ILSE

  • Campionessa italiana assoluta tavola e surf ski

  • 31 volte medagliata ai campionati italiani di salvamento

Con questa intervista, andiamo ad approfondire insieme a lei questo settore sportivo spesso poco conosciuto, anche da chi pratica sport acquatici, e perfino dai soccorritori acquatici.

 

Allora partiamo dalla base: nuoto per salvamento, salvamento sportivo, salvamento agonistico, lifesaving… come è preferibile chiamarlo?

Noi atleti e tecnici lo chiamiamo ‘salvamento’ e basta, il problema sorge quando devi spiegare a qualcuno di cosa si tratta. Il nome ufficiale della disciplina in Italia (regolamentata dalla Federazione Italiana Nuoto) è nuoto per salvamento - “ah, ma allora fai nuoto?” - circa. Il nome ufficiale nel mondo è lifesaving sport – e con questo qualsiasi straniero si fa un’idea più chiara. Poi se vogliamo essere precisi si divide in pool lifesaving (gare in piscina) e surf lifesaving (gare al mare).

Piscina o prove oceaniche: cosa è più entusiasmante per te?

Avendo passato una vita in piscina, adoro le prove oceaniche perché danno quella difficoltà e divertimento in più, rispetto all’avere esattamente tutto pianificato e sapere cosa ti aspetta prima del via. Tutto può succedere anche in piscina, ma se qualcosa va storto, è imputabile all’atleta. Al mare si è coscienti che davvero tutto possa succedere, e se non succede è bravura dell’atleta. Le prove ti mettono letteralmente alla prova con te stesso, con gli elementi della natura e con gli avversari. Non sono competizioni a tempo, ma vince chi taglia per primo il traguardo.


Come si allenano prove outdoor tipo bandierine, sprint, frangente?

Per collegarmi alla risposta di prima, nelle discipline del surf lifesaving esiste sempre l’elemento incognita e un buon atleta deve essere sempre pronto fisicamente e mentalmente ad affrontarlo trovando la soluzione migliore. Va da sé che le prove su sabbia (bandierine e sprint) si svolgono unicamente sulla terra ferma, mentre il frangente prevede partenza e arrivo sulla spiaggia e una parte nuotata in acqua. Queste tre discipline sono le uniche al mare che non prevedono l’uso di attrezzi, è importante quindi avere un’ottima preparazione fisica generale prima di passare a quella specifica.

Sei una campionessa di paddleboard e profonda conoscitrice di questa materia. Cosa pensi del surf-rescue e della (scarsa) cultura che vige in Italia in merito a questo strumento?

È davvero un peccato che la tavola rescue a livello professionale in Italia non sia diffusa. È un dispositivo che permette un intervento rapido e sicuro in tutte le condizioni, non riesco a trovarle nessun aspetto negativo. Certo: bisogna saperla usare, proprio come qualsiasi altro dispositivo di salvataggio ed essere allenati, proprio come qualsiasi buon soccorritore. Ma i vantaggi che offre sono imparagonabili ad attrezzature legate alla tradizione italiana, ahimè, ancora in uso e con poca valenza d’intervento. La cultura italiana fatica ad accettare strumenti innovativi e perlomeno avvicinarli a quelli della tradizione, come la bandoliera di un amato corpo dello Stato.

Un'opinione sulla SERC (Simulated Emergency Response Competition)?

Per chi non la conosce è una prova in piscina che testa l’abilità di iniziativa e di giudizio oltre alle conoscenze/abilità di soccorso di una squadra formata da 5 componenti (1 leader e 4 soccorritori) nel risolvere uno scenario di emergenza simulato, sconosciuto prima dell’inizio della prova. È la gara più vicina a una situazione reale di emergenza, come suggerisce il nome. Ai fini della classifica viene considerata sia la tecnica che la velocità della risoluzione dell’emergenza. Purtroppo, agli atleti italiani viene proposta soltanto nell’ambito di gare internazionali come europei e mondiali.


Inseriresti una nuova competizione oltre a quelle già esistenti? E modificheresti qualcosa in quelle già regolamentate dall'ILS?

Trovo tutte le prove nel programma ILS avvincenti per il pubblico e impegnative dal punto di vista sportivo. Non vorrei fare un distinguo anche in questo caso fra l’Italia e il resto del mondo, ma sono davvero pochissimi anni che a livello italiano si ha un programma gare completo per le prove oceaniche per le categorie assolute e dallo scorso anno anche per le categorie giovanili. Se parliamo dei miei gusti personali, in Australia sono molto diffusi format di ocean(wo)man (eliminator, survival, enduro) e prove a squadre (board relay, ski relay, swim relay) davvero entusiasmanti e stimolanti.

Rispetto agli altri Paesi, com'è messa l'Italia con il lifesaving sportivo? E col lifeguarding professionale?

In Italia ufficialmente si chiama ‘nuoto per salvamento’, quindi già dal nome è molto legata al mondo nuoto e piscina, discipline in cui l’Italia si difende egregiamente nel mondo con numerose medaglie e record. Le prestazioni anche a livello nazionale sono di tutto rispetto e la qualità sportiva è molto elevata. Per quanto riguarda il settore professionale, la differenza sostanziale fra l’Italia e gli altri Paesi del mondo è legata alla struttura organizzativa deputata alla sorveglianza balneare. In Paesi come Francia, Portogallo, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda gli enti sia pubblici che privati convenzionati che operano sul territorio permettono uno sviluppo del settore professionale più coordinato, incisivo e uniformato. Ad esempio in Francia sulle spiagge operano i vigili del fuoco oppure bagnini assunti dai comuni che lavorano assieme a poliziotti-bagnini (CRS), anche negli Stati Uniti sono i vigili del fuoco impegnati per contee con divisioni designate al lifeguarding (LACoFD), in Australia è l’organizzazione sportiva Surf Life Saving Australia con personale volontario altamente formato (quasi tutti atleti) che regola il servizio sulla spiagge assieme a soccorritori professionali dipendenti della contea (Bondi Rescue). Chi fa invece sorveglianza balneare sui litoranei italiani?

Spesso la propaganda di questa disciplina sportiva la fa passare come propedeutica alla professione di soccorritore acquatico. Tuttavia, in un precedente articolo ho messo in evidenza le differenze tra sport e realtà. Cosa pensi in merito?

Dovrebbe proprio essere un’adeguata formazione a far emergere la differenza fra salvamento (sport) e salvataggio (professione) e far nascere negli atleti la consapevolezza della professione e nei lavoratori l’allenamento richiesto dalla professionalità. Prendiamo un atleta qualsiasi di 17 anni che compete da quando ne aveva 8 in gare di salvamento: avrà sicuramente già un po’ imprinting e una buona propensione ad acquisire attraverso mirata formazione e addestramento operativo le tecniche d’intervento.

Pensi che in qualche modo il nuoto per salvamento possa andare anche ad integrare la formazione professionale dei lifeguard?

È il paradosso dell’uovo e della gallina. Il salvamento come sport è nato proprio dall’esigenza dei bagnini di tenersi allenati per poter offrire un servizio prestante e confrontarsi a vicenda. Oggi, invece, sembra quasi l’opposto: bravi nuotatori e atleti di salvamento diventano poi bagnini. In realtà il bagnino dovrebbe essere un atleta e non solo gli atleti che fanno i bagnini.


Un messaggio per avvicinare chi legge a questo sport:

Non datevi all’ippica 😊


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