Quando parliamo di lifeguarding, l'immagine del trainer dovrebbe essere quella di un ragazzo atletico, fisicamente prestante, con più mute che abiti nell'armadio.
In Italia invece la maggior parte dei maestri di salvamento sono persone anziane, spesso fuori forma, che vivono più sul bordo vasca che in mezzo alle onde.
Su questo aspetto mi sono sempre sentito solo, una mina vagante, fino a quando ho conosciuto il mio coetaneo ligure Nicolò Di Tullio, come me classe '94, lui qualche mese più grande.
Anche lui è un grande esperto di salvamento, e soprattutto un atleta di elevato spessore.
Tra noi non è mai sorta alcuna forma di rivalità, anzi ci siamo sempre reputati complementari.
Nel mio percorso io ho dato più peso alla formazione tecnica delle diverse realtà connesse al soccorso acquatico reale, lui ha dato maggiore spazio al lato sportivo, diventando un grande simbolo del lifesaving agonistico e di tutto ciò che combina il mare allo sport.
Insomma, un tecnico e un waterman, si potrebbe dire.
Ed è per me un piacere dare spazio sul mio portale ad alcuni dei pensieri di Nicolò sul mondo del salvamento, quali possono diventare momento di riflessione per chi legge questo blog e vive questo settore.
Cronologicamente qual è stato il tuo percorso formativo nel mondo acquatico, sia sportivo che professionale?
Ho iniziato con la pallanuoto, come la maggior parte degli atleti acquatici in Liguria, poi mi sono spostato da giovanissimo al salvamento.
Ho trascorso gli anni più belli della gioventù nella Rari Nantes, dove si praticava anche il salvamento, di cui rimasi affascinato soprattutto per la possibilità delle uscite in mare.
Ho affiancato al salvamento qualche gara di nuoto in vasca e in acque libere, e anche alcune gare in kayak e in prone paddleboarding, raggiungendo alcuni titoli italiani nelle diverse discipline.
Ho partecipato ai Campionati Europei e poco dopo ho scoperto le realtà internazionali, avendo avuto la fortuna di poter continuare a frequentarle, dalla amata Francia, alla affascinante Australia, dove ho acquisito il Bronze Medallion con la Surf LifeSaving Australia.
In Italia, dal punto di vista di tecnico sportivo, ho acquisito il titolo di istruttore di nuoto (A e B), quello di allenatore di salvamento agonistico, e poi quello di maestro di salvamento.
Sul lato surfistico sono tecnico sportivo di surfing e di SUP. L’apice degli studi in ambito di tecnico sportivo li ho raggiunti con la partecipazione al 18esimo corso per tecnici sportivi di IV livello europeo CONI SNaQ, studiando un anno presso la Scuola dello Sport centrale al Centro Olimpico Giulio Onesti.
Da questa esperienza ho proseguito con la formazione a livello internazionale prendendo parte al corso internazionale per formatori di formatori organizzato dalla fondazione finanziata dal governo giapponese in occasione dei GO di Tokyo Sport for Tomorrow.
Il corso si prefigge la volontà di creare un mondo migliore, attraverso la pratica sportiva, creando una rete internazionale di formatori sportivi.
Un bel viaggio, e spero di non smettere di imparare. Lifelong learning!
Hai vissuto il salvamento sia per sport che per professione. Pensi ci sia attinenza tra i due mondi, o viaggiano su due binari paralleli?
Sono due mondi intrinsecamente collegati, che corrono su due corsie diverse e gareggiano alla ricerca di medaglie diverse.
quello sportivo ricerca la medaglia, la performance, e trae dall'altro diversi aspetti culturali e tradizionali che porta con sé (es: l’uso della paddleboard, il torpedo, le pinne, le prove di atletismo a tutto tondo in spiaggia)
quello professionale aspira a un mondo privo da morti per annegamento (si parla di epidemia silenziosa) e si nutre della passione e della professionalizzazione che passa anche dal primo.
Di recente le Nazioni Unite hanno approvato la prima Resolution on Global Drowning Prevention, promossa da Bangaldesh e Irlanda e sottoscritta da altre settantanove nazioni.
In questa visione di un mondo privo dall’annegamento lo sport è veicolo comunicativo di grande potenza, per educare all’autosalvataggio e al soccorso acquatico sin da piccoli, nonché alle pratiche di primo soccorso tra cui la defibrillazione cardiopolmonare.
Riconosco nella prova SERC (Simulated Emergency Response Competition) - che si aggiunge alle prove in piscina e alle prove in mare del salvamento agonistico come regolamentato dalla ILS - la connessione tra i due mondi.
La classifica del Campionato del Mondo di salvamento si ottiene sommando i punti della SERC a quelli delle altre prove in mare e in piscina proprio perché in questa prova si testano le capacità degli atleti di agire sotto stress, e nel migliore dei modi in una situazione di emergenza simulata.
Nel 2015 grazie al supporto della Sportiva Sturla, e con il patrocinio del CONI, organizzai la prima SERC in Italia.
L’evento chiamato FISD (First Italian SERC Day) fu patrocinato anche dalla Royal Lifesaving Society UK, il cui presidente venne a Genova con la sua squadra per partecipare. Ottenemmo grande successo richiamando diverse decine di team di lifesavers e di atleti di salvamento agonistico da tutta Italia.
Da quel momento non ne sono state più organizzate in Italia.
Da un po' di tempo hai iniziato anche a ricoprire un importante incarico per conto del CIO (Comitato Olimpico Internazionale). Credi che il nuoto per salvamento possa in futuro prendere una piega anche verso il contesto olimpico?
Non credo sia appropriato dare speranze olimpiche infondate ai giovani atleti.
Credo piuttosto che dovremmo concentrarci sui tanti aspetti positivi che il nostro sport porta: rispetto per sé stessi e per la vita degli altri, conoscenza e rispetto per l'ambiente.
Tutti i nostri atleti e bagnini devono esserne ambasciatori.
Per Tokyo 2021 e Parigi 2024 sappiamo già che il salvamento agonistico non farà parte del programma olimpico. Non so se avremo una possibilità a Los Angeles nel 2028.
I nuovi sport che entrano nel programma olimpico hanno caratteristiche vicine alle discipline oceaniche del salvamento (alle quali mi sono particolarmente dedicato dal 2013): outdoor, novità, sport giovane e attraente, televisione.
Proprio nelle prove oceaniche del salvamento agonistico ho raggiunto il titolo di Campione di Coppa Europa per la prova dell’oceanman nel 2018.
Se la posizione di Young Leader al Comitato Olimpico Internazionale mi permette di avere notizie più specifiche su questo argomento, te lo farò sapere presto!
Oltre alla realtà del salvamento italiano, hai vissuto molto quella estera. Cosa ne pensi?
Ci sono diversi modi con cui il salvamento è inteso, è un settore estremamente eterogeneo.
Dal professionalismo americano di alcuni Stati come la California, al quasi totale volontariato della guardia costiera nel Regno Unito o Francese, ai lavori stagionali sulle spiagge in Italia.
Ci sono tanti e diversi modelli che ho potuto sperimentare e conoscere dall’interno, sarebbe bello poterne fare un’analisi approfondita, socioeconomica e poterne trarre conclusioni oggettive.
Se devo sbilanciarmi, a livello di iconicità del movimento, quanto vediamo accadere in Australia ha dell’incredibile. Si organizzano manifestazioni inclusive di ogni settore del salvamento, al soccorso, all’agonismo, alle prove vicine a quelle tradizionali come anche le marce storiche dei club che sfilano in spiaggia portando gli stendardi come da noi accade per le contrade delle città. 7000 partecipanti per 380 eventi, più gli accompagnatori. Una manifestazione palese del valore etnologico che questo sport, anzi movimento, rappresenta.
Anche in Italia c’è una cultura profonda e anticamente radicata, che dal mio punto di vista può essere espressa.
Dotazione per il salvamento preferita?
Il rullo, semplice e efficace. Quasi infallibile se lo si sa usare adeguatamente. Con sé porta anche il significato del team. Con il rullo non puoi andare da solo in mare, i tuoi colleghi saranno a terra a controllare e insieme si porterà in salvo il pericolante.
Anche un approccio adeguato al salvataggio, analitico e preciso, è utile quando si soccorre. Direi quindi anche un buon manuale e un ottimo maestro.
Un salvataggio che ti è rimasto particolarmente impresso
Diversi. Uno su tutti è avvenuto in Italia, forse perché si sottovalutano spesso le condizioni alle quali sulle nostre coste siamo più abituati. Lo porto spesso come esempio durante i corsi di come le situazioni possano degenerare drammaticamente in pochi attimi.
Un uomo di circa 60 anni, in sovrappeso, si sta bagnando in riva al mare in costume. Aprile, l’acqua ancora non calda. Si butta e comincia a nuotare a pochi metri da riva, quindi si sposta poco più al largo. In quel momento sono un passante, non sto sorvegliando la zona. Lo vedo allontanarsi a una velocità anomala da riva, ma il mare non ha frangenti, solo una leggera onda lunga
L’uomo viene preso da una corrente di ritorno e si allontana sempre di più, provando inutilmente a nuotare verso riva. Quindi mi avvicino con un paddleboard per soccorrerlo, ma lui rifiuta l’aiuto. È un'opera di convincimento tra il riposo e l’incapacità di riconoscere la difficoltà. Continua a rifiutare di farsi soccorrere finché non crolla, e con enorme fatica lo riporto a terra, dove si scalda, si riprende..e scappa in costume.
Credo che pesasse almeno 100 kg ed è stata un’esperienza faticosissima, se non fossi stato allenato come un atleta di alto livello sono sicuro non sarei riuscito a portarlo a terra.
Un tuo take-home-message per chi è in questo settore o vuole avvicinarsi
Il salvamento è un movimento complesso ed eterogeneo, affascinante e comprensivo, che si declina alla cultura di ogni luogo dove questo viene praticato. Conoscerlo a fondo è in qualche modo un'esperienza di antropologia culturale, dove le tecniche, le modalità, le prassi, i corpi sono adattati alla cultura locale.
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