Un argomento che sporadicamente salta fuori è quello di un ausilio al galleggiamento che possa garantire la sicurezza dell'operatore durante un'azione di salvataggio.
Questa è una tematica molto importante, sulla quale spesso purtroppo si crea tantissima confusione. Per questo motivo ho deciso di raccogliere un po' di info e fare chiarezza!
Per realizzare questo articolo mi sono avvalso del supporto dello staff di Veleria San Giorgio, la più antica e conosciuta azienda italiana nel campo della progettazione e produzione di giubbotti di salvataggio.
Una prima distinzione da fare è quella tra aiuto al galleggiamento e giubbotto di salvataggio: il primo è considerato tale perché supporta nel galleggiamento una persona capace di nuotare, mentre il secondo fornisce una spinta superiore garantendo che, anche se privo di sensi, si ritrovi sempre a galleggiare con le vie respiratorie libere dall'acqua.
La spinta di galleggiamento in acqua si può dire che "contrasta la forza di gravità", e si misura generalmente in newton, unità di misura della forza.
In fisica sarebbe errato confondere massa e peso, ma per capirci "un newton corrisponde a circa 100 grammi (quindi un kilo-newton corrisponde a circa 100 kilogrammi)".
Questo significa che un device da 100 newton garantisce una spinta verso l'alto equivalente alla forza-peso che normalmente avrebbe verso il basso un oggetto di 10kg.
Chiariamo da subito che i giubbotti da salvataggio tradizionali della nautica sono inadeguati all'attività operativa. Sono ingombranti e inadatti al nuoto; nascono per mantenere una posizione sicura nella fase di sopravvivenza in mare in attesa dello svolgimento dell'operazione SAR.
I device per uso sportivo sono allo stesso modo sconsigliati, proprio perché etimologicamente non nascono per un uso operativo. Nella logica del "qualcosa è sempre meglio di niente", uno sguardo può essere dato alle cinture autogonfiabili, sicuramente più confortevoli.
Anche nella nautica il PFD (Personal Flotation Device) può essere statico o gonfiabile. Quest'ultimo si attiva automaticamente alla caduta del naufrago in acqua, grazie ad una capsula di sale, quale innesca la reazione che fa liberare il gas racchiuso nella bomboletta.
Invece nel caso di un operatore del soccorso, il quale in acqua ci va volontariamente, il dispositivo deve essere a gonfiaggio manuale, in modo che l'operatore possa attivarlo tramite una spoletta soltanto qualora necessario!
In tutti i casi, a prescindere dal meccanismo della bomboletta di CO2, è sempre presente la possibilità del gonfiaggio a bocca.
Detto ciò, per entrare nel profondo dell'argomento è necessaria una grande premessa che mi tocca fare in tante occasioni: la grossa differenza che c'è tra lifeguard e soccorritore acquatico. Due figure differenti, che operano in ambienti differenti, con tecniche e protocolli differenti, e con esigenze differenti da cui derivano DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) differenti!
Lifeguard
Lavora in spiaggia prettamente nel periodo estivo, con turnazione giornaliera che lo espone a diverse ore di calore.
È un soccorritore di prossimità, ha un area di lavoro ben delineata che è quella prossima alla sua postazione, motivo per cui conosce l'ambiente dove interviene come se fossero le proprie tasche.
La sua area operativa è sottocosta, in particolare quella dei frangenti, dove le onde diventano vere e proprie masse di acqua in movimento, generando un ambiente totalmente diverso dal mare aperto.
La sua attività è strutturata in numerose ore di sorveglianza e pattugliamento, e quando è necessario entrare in acqua per un'azione di salvataggio ha l'esigenza di nuotare agevolmente nel mare formato, tra corrente e frangenti.
A differenza di un naufrago, in un'emergenza non ha la necessità di attendere a mollo per tante ore in mare aperto che arrivi un'unità di soccorso. La sua azione in acqua ha una durata relativamente molto breve (minuti).
Quali sono le giuste caratteristiche del PFD per un lifeguard?
Deve avere una vestizione comoda e veloce, con uno scarso ingombro.
Non deve impedire i gesti tecnici, quali la nuotata, la voga e il paddleboarding.
Una volta gonfio non necessità di un elevata spinta di galleggiamento, anzi.
Meglio se realizzato in neoprene, in modo da dare anche da sgonfio un minimo assetto positivo, vista l'assenza della muta.
Particolarmente indicato come protezione per chi lavora in prossimità di scogli e scogliere, casi in cui consiglio fortemente di intervenire anche con un caschetto, se il mare è formato.
Non ha l'esigenza di essere certificato nel rispetto della normativa concerne la navigazione, visto che è impiegato per tutt'altro impiego.
Ad oggi purtroppo questo strumento non è molto diffuso poiché non esaustivamente normato, in quanto non rientra tra le dotazioni previste dalle Ordinanze di Sicurezza Balneare emanate dalle Capitanerie di Porto.
Soccorritore acquatico
Professionista del soccorso acquatico, quale interviene da un mezzo nautico in tutti gli ambienti marini, sia in mare aperto che nel sottocosta. Non è un soccorritore di prossimità, bensì viene attivato "su chiamata" su emergenze che possono sorgere in diversi target.
I suoi interventi possono durare varie ore, e potrebbe trovarsi ad operare sia a pochi metri che a diverse miglia dalla costa.
La sua figura è ben normata, e in linea con il D.Lgs 81/2008 è tenuto ad operare con idonei DPI.
Ha una vestizione completa che comprende casco, maschera, aeratore, pinne, diverse dotazioni e soprattutto la muta in neoprene, quale già garantisce un buon assetto positivo.
Quali sono le giuste caratteristiche del PFD per un soccorritore acquatico?
Il dispositivo deve innanzitutto rispondere delle varie certificazioni previste dalla nautica.
Una volta gonfio deve garantire un alta galleggiabilità, generalmente indicata sui 150 Newton.
Il device è una sorta di imbrago, infatti in molti manuali (a partire dai Vigili del Fuoco) viene chiamato Cintura H, per la tipica forma.
Può presentare delle fibbie sottogamba e diverse clip per una maggiore adesione.
Viene integrato con fischietto, strobo ed altre dotazioni.
Inoltre è spesso presente un quick release, come quelli previsti per i PFD da impiego fluviale, utile quando è necessario vincolarsi a qualcosa, con la possibilità di svincolarsi facilmente in caso di necessità.
Quanto detto finora non vale per l'aerosoccorritore, dove l'imbrago per il verricello e l'operatività in relazione all'aeromobile aprono le porte ad un altro mondo, e quindi si entra in merito ad una specifica normativa legata al settore aeronautico.
Detto ciò, sperando di aver fornito una panoramica chiara ed esaustiva sull'argomento, resta da fare un'ultima precisazione che potrebbe sembrare scontata, ma non lo è: tutto va testato prima e non nel momento della necessità.
Muoversi e nuotare con il PFD indossato, provarlo sia gonfio che sgonfio e acquisire una piena confidenza sono tutte skill che devono far parte del bagaglio dell'operatore.
Per questo motivo la vestizione e l'attivazione di questi device andrebbe incentivata all'interno dei vari percorsi formativi legati alla sicurezza e al soccorso in acqua.
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