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  • Immagine del redattoreDavide Gaeta

UOMO A MARE: la manovra di Williamson

Chiunque abbia frequentato un istituto nautico, o abbia conseguito l'abilitazione al comando di unità da diporto (alias "patente nautica") ci è sicuramente passato: la prova dell'uomo a mare e la manovra necessaria a porre l'unità nautica in modo che non vada a impattare sul naufrago, e possa procedere ad un'azione di soccorso.

 

IL SEGNALE DI "UOMO A MARE"

L'avvistamento di un naufrago presente in acqua, o una persona caduta dall'unità in navigazione, deve essere segnalato a tutto l'equipaggio gridando "Uomo a mare a sinistra/dritta!".

Sulle navi il segnale che conferma questo tipo di emergenza è uno squillo di sirena o un fischio lungo di almeno 6 secondi, che può anche essere ripetuto.

 

SEGNARE LA POSIZIONE

Non appena si verifica l'accaduto ci sono due cose importanti da fare.

La prima è lanciare un salvagente, sia per garantire una galleggiabilità al naufrago durante la fase di manovra, sia per garantire una maggiore visibilità, dato il rischio di perderlo di vista.

I salvagenti anulari omologati (SOLAS) sono dotati di fasce catarifrangenti, e alcuni da norma sono abbinati anche con man overboard (MOB), boetta a capovolgimento che produce luce e fumo per poter attirare l'attenzione sul punto in cui si trova la persona in acqua, efficace sia di giorno che di notte.

La seconda cosa sarebbe fissare immediatamente la posizione, detta waypoint, sul GPS (o sul chartplotter), alcuni dei quali hanno già di default un tasto MOB.

Questo permette di tornare più facilmente sul target, o velocizzare i calcoli della corrente di deriva che potrebbe aver spostato il naufrago in acqua durante la fase di manovra.


Un membro dell'equipaggio, gergalmente detto spotter, dovrebbe tenere sempre puntato un braccio teso verso il target, in modo da non perderlo di vista durante tutta la manovra.

Nelle regate d'altura, un'altro device indispensabile è la dan buoy, sistema che a contatto con l'acqua si gonfia ricreando un salvagente con un'asta telescopica (IOR) verticale, dotata di bandierina e luce strobo, in modo da incrementarne notevolmente la visibilità.


Nella nautica d'altura sono ormai molto diffusi anche i dispositivi MOB individuali, segnalatori d'allarme elettronici indossati da ogni membro dell'equipaggio, quali si attivano automaticamente nel momento in cui si distanziano dall'unità navale (allarme lifetag, PLB, segnalatori AIS e AIN, ecc).

 

LA MANOVRA

La manovra più conosciuta è l'evoluzione o curva di Williamson, in onore di John Williamson della United States Naval Reserve, che nel 1943 la utilizzò con successo per recuperare un uomo caduto in acqua.

Questa ha inizio virando di 60-70° verso il lato dal quale è stato avvistato il naufrago, in modo da allontanare la poppa affinché lo scafo (e soprattutto le eliche) non costituisca pericolo per il naufrago. Come si dice nel gergo, bisogna "scodare". Se la barca naviga a vela bisogna immediatamente orzare (portare la prua al vento per arrestarne il moto) e passare al motore ausiliario.

Una volta fuori dall'area di rischio è possibile iniziare la virata completa che permetta di effettuare un'inversione di marcia e tornare indietro, in direzione del target da raggiungere.


Altre manovre simili sono la curva di Anderson, che si effettua continuando la virata dal lato iniziale disegnando un cerchio, oppure in caso di scarsa visibilità la curva di Scharvow, simile alla precedente ma più larga, in modo non non tornare proprio sul target ed evitare di investirlo oppure quando bisogna fare tanta strada per tornare indietro sul punto.

Ci si avvicina alla posizione MOB con la massima attenzione. Come già detto, la barca rappresenta un grosso pericolo, sia per lo scafo che per le eliche. Ci si ferma a 20-30 metri dal target, anche di più in presenza di vento e corrente, se possibile a motore fermo.


In relazione alla stazza dell'unità la manovra può avere anche dei tempi molto lunghi. Immaginiamo ad esempio una nave che deve fare una completa inversione di rotta: certamente non si tratta di pochi minuti.

Sulle grosse navi tutti i componenti dell'equipaggio conoscono il proprio incarico per ogni tipo emergenza, come definito dal ruolo d'appello, e inoltre sono tutti addestrati a queste situazioni grazie a una serie di esercitazioni periodiche, come quelle previste dalla Convenzione STCW.


Invece sulle unità piccole in realtà non è necessario davvero realizzare la manovra come accademicamente descritta, in particolare se le condizioni meteo-mare sono favorevoli.

In genere basta fare una rapida virata a 8 (quick turn), superare lentamente di qualche metro il target, poi un colpetto di marcia indietro e spegnere i motori; semplice, veloce, sicuro.

Potrebbe bastare anche avvicinarsi di prua e accostare di fianco.

 

IL SOCCORSO

Ogni membro dell'equipaggio in coperta che procede al soccorso deve indossare il proprio giubbotto di salvataggio, e su certe unità sarebbe bene essere vincolati alla jack-line, una linea vita che impedisce di cadere fuori dall'imbarcazione.

Questo soprattutto se a bordo è presente soltanto il timoniere (importante lo stacco di massa, quell'elastico che si aggancia al polso o al giubbotto e che una volta sganciato tira via la chiave e fa spegnere il motore). Qualora dovesse cadere in acqua, la barca resterebbe "libera", cosa estremamente pericolosa anche in condizioni di mare calmo (non servono film come Roma Bene (1971) e Alla Deriva (2006) a ricordarcelo).

Oltre alla tradizionale gaffa, un'attrezzatura che anche in questo caso torna utile è la sacca da lancio. Esistono dei modelli che nascono proprio per la nautica, leggermente zavorrati per il vento e dotati di diverse decine di metri di cima.


Per far sì che questa arrivi all’uomo in mare, è necessario manovrare in modo da descrivere dei cerchi concentrici a chiudere intorno al MOB: l’obiettivo è che la cima arrivi all’uomo a mare quale la possa così afferrare.


Il recupero deve esser fatto dal lato sottovento, in modo che lo scafo offra protezione durante l'estrazione dall'acqua.

Ogni unità è allestita a modo suo per poter far salire una persona a bordo: scaletta di imbarco rapido, prua/poppa abbattibile, argano, ecc.


La modalità di recupero a bordo dell'infortunato varia in base al tipo di unità su cui ci troviamo.

Può tornare utile impiegare un rescue sling, una bretella ascellare di recupero collegata ad una lunghissima cima galleggiante.

Se il naufrago non dovesse essere cosciente, o capace di collaborare, potrebbe essere necessario che qualcuno dell'equipaggio si tuffi in acqua per recuperarlo.

Ovviamente sempre safety first! Consapevolezza, competenze e DPI: se non ci sono le condizioni di sicurezza non si va da nessuna parte.

Le navi sono dotate in genere di tender e battelli veloci (rescue boat) per poter manovrare in maniera sicura e rapida nei pressi dell'unità navale.

Sicuramente questo rende più sicura un'azione di soccorso.

 

TRATTAMENTO SANITARIO

Una volta issato a bordo è necessario valutare le condizioni del naufrago, comunicando il tutto alla centrale operativa. Per quanto riguarda questo aspetto è bene interfacciarsi, via radio o tramite telefono, sempre con l'autorità marittima, quale a sua volta fornirà indicazioni su cosa fare per poter garantire il prima possibile le dovute cure sanitarie al paziente.

Nel frattempo è necessario applicare un primo soccorso, considerando la possibilità di dover trattare due probabili evenienze: l'ipotermia e un ipotetico trauma.

Per entrambi i motivi sarebbe meglio evitare di fargli assumere una posizione verticale, e favorire il mantenimento di una posizione sdraiata.


Naturalmente, su questo aspetto, tutto cambia se a effettuare il recupero non è un'unita da diporto, bensì un mezzo adibito al soccorso. Sulle navi di grossa stazza, invece, per norma nella maggior parte dei casi è presente del personale sanitario a bordo.


Se il naufrago viene ritrovato in soddisfacente stato di salute, come avviene nella maggior parte dei casi, ricordatevi di annullare il may-day/pan.

 

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